Storia di un amabile sconfitta.

Domenica 21 gennaio 2024, ore 00:30.

Abbiamo appena spento le luci della mia stanza d’hotel, e tra un orlo e l’altro dell’enorme tenda che sta davanti alla parete finestrata, i lampioni in strada, quelli che percorrono il canale, mandano dei piccoli fasci luminosi dentro la stanza, creando sagome in movimento all’angolo del letto.

A un cuscino di distanza, un angolo bianco di lenzuolo sgualcito e il mio braccio, c’è lui.

Mentre tento di far finta di dormire , ad occhi socchiusi, cerco il suo viso nel vuoto buio che ci circonda, supponendo che sia fra le sue labbra la malia* di cui ora sono una beata vittima.

“Ma quindi adesso che succede?”; continuano a barbugliare i miei logorati pensieri.

Sono certa che stiamo pensando la stessa cosa, dagli opposti lati del letto,  ma vogliamo davvero sapere cosa ne sarà di noi?

Consci che dinanzi ad un ipotetica realtà scomoda saremmo costretti a conviverci silenziosamente per le prossime 12 ore.

-Ultime ore prima di riprendere un treno che mi porterà di nuovo lontano da lui-

È un po una gara con regole non scritte di cui ognuno conosce il significato; chi si muove perde, ed è costretto a vuotare il sacco.

Sono un ipocrita.

Come posso pretendere di non rimanerci secca prima o poi?

Lo sai, ti conosci, sei un eterna romantica, mezzo sorriso e cadi fra le braccia di Eros.

E tu, Eros, cel’ hai davanti, a un cuscino di distanza dopo un angolo di lenzuolo bianco e il tuo braccio immobile.

Sono certa di avere la grande capacità di mandare in malora tutto ciò su cui il mio sguardo triste si posa, ma mi chiedo; Sono o non sono una persona così detestabile e impossibile da amare? Se alla sola idea di guardarmi dentro le budella si ritorcono.

Le persone mi fanno sentire sbagliata, o forse sono solo io che, tentando di giustificare l’altro, scivolo stomachevolmente in una posizione impietosa verso me stessa.

Ma non lui, i nostri respiri si liberano nella stanza buia simultaneamente, e niente mi ha mai fatta sentire piu in coesistenza di questo momento, purché sia con lui.

Guardandolo, mi rendo tristemente conto che è già di un altra, e lo vedo, lì, sull’angolo della bocca, nel triangolo della tristezza, sulle palpebre chiuse, un altro amore lo sovrastava, altri occhi si sono posati su di lui, e il suo cuore non ha ancora trovato pace.

Concretizzando Intanto, che io mi stavo struggendo d’amore per lui, e lui si struggeva per un’altra.

Qui, alle 1:00 di notte,  mi rendo conto di essere infastidita da tutto, pensando con quanto amore possa lui aver guardato quegli occhi, dieci, cento, mille volte in più dei miei, occhi, che prima di me, avevano visto e vissuto quei momenti di pace, li, sotto le coperte.

Avevano già veduto il desiderio nei suoi occhi, contato ogni goccia scivolare sulle sue guance pallide nei momenti di tenerezza, e aveva sicuramente guardato ben da vicino i suoi denti mentre rideva, e chissà quante altre cose sono state viste da quegli occhi che io non vedrò mai.

Lascialo andare, lasciali andare tutti.

Oggi, 9 domeniche dopo, un inquietudine mi accompagna per tutta la giornata, mi accarezza la testa e mi dice “arrenditi”, che sta per finire.

Alla stessa ora di qualche settimane piu tardi dalla prima volta sul letto, in cui tutto fu finalmente detto, la speranza, la mia, viene infranta da una telefonata, seguita da un fiume che riversandosi sotto i miei occhi, da luce a qualcosa, che dentro di me, si è rotto di nuovo.

Così,  9 domeniche dopo mi ritrovo riversa sul pavimento del bagno con le mani sul viso, vergognandomi tanto, vergognandomi tanto di me stessa.

Come sono arrivata a questo punto?

Parlo e quasi non mi sento;

Non me lo merito.

Non me lo merito.

Non me lo merito.

Non posso meritarmelo.

Non di nuovo.

Non di nuovo.

Non di nuovo.

Vi è mai capitato? Una serie ripetuta e in scala di eventi identici, che puntualmente picchiano forte quanto una mazza da baseball colpisce la palla per mandarla in casa base.

Io, come quella palla, continuo ad essere raccattata da terra e lanciata verso la stessa traiettoria, piu e piu volte,  facendo però, sempre piu fatica a tornare illesa, e al punto di partenza.

E adesso resto lì, nella costante attesa di non si sa cosa, desiderando, se pur con modesta paura, che qualsiasi cosa arrivi sia fatta per restare, amandone tremendamente ogni momento.

Ripenso a quella verità scomoda che con tanta onta* hai voluto seppellire, e così , te ne sei andato pensando di recarmi meno dispiacere, quando adesso, il mio dispiacere dimora nel vederti andar via.

Guardo quella porta che non riesce a chiudersi e mi sento sconfitta.

Ed  È così che divenni triste, guardandola poi chiudersi, la porta,  crollare insieme ai ponti di Venezia che non vorrò mai piu rivedere, perché ormai portano tutti il tuo nome.

E con quiete, spostando tutte queste macerie, ti manderò lontano dai miei pensieri , sempre più lontano, sempre più lontano, sempre più lontano, sempr e p i ù l o n t…

Ma adesso che non sono ancora pronta, voglio pensarmi la, camminando nella città sotto un leggero sole, mentre ti tengo la mano e sorridendo ti dico;

Adesso dobbiamo andare, il sogno sta finendo ed è ora di svegliarsi, e se non sai dove cercarmi, cercami in questo sogno.

Che io possa sempre sognare di noi,

Buonanotte.

*malia
/ma·lì·a/
sostantivo femminile
  1. Misteriosa capacità di conseguire effetti inconsueti e sconcertanti, non necessariamente per opera di magia vera e propria.
    "la m. del suo sguardo"
*onta
/ón·ta/
sostantivo femminile
  1. Grave motivo di vergogna o di offesa: è un'o. che pesa sul suo nome; recare o. a qualcuno; fig. ( poet.), danno.
    • In onta a..., a onta di..., malgrado, nonostante.
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